Ultima modifica: 23 maggio 2015

Lingua

Il termine si capisce meglio se avvicinato al suo apparente sinonimo, vale a dire a linguaggio. Se ai bambini si chiede se sentano più largo o più stretto l’uno o l’altro dei due termini risponderanno – se opportunamente sollecitati e guidati – che lingua è più stretto di linguaggio. È un esperimento che si consiglia: la competenza dei bambini in questo caso è una cartina al tornasole di sicuro affidamento.
D’altra parte, anche nel linguaggio comune si può dire che c’è un linguaggio degli animali, ma non che c’è una lingua degli animali. Oppure che si può parlare di linguaggio della matematica, ma non di lingua della matematica. Insomma, linguaggio è iperonimo di lingua (le sta sopra ed è più largo dal momento che lo comprende). Raffaele Simone definisce la lingua per un insieme di tratti specifici:
a) ciascuna lingua (o classe di lingue) associa all’ordine del contenuto non una qualsiasi espressione ma una specifica espressione;
b) ciascuna lingua impone al potenziale semantico del linguaggio limitazioni particolari;
c) la lingua si impara e si dimentica, si modifica e muta.
La riprova ultima è che la lingua può essere definita come il linguaggio verbale, il linguaggio cioè fatto di parole, di segni verbali organizzati secondo le regole di ogni lingua con i quali, attraverso un processo di simbolizzazione, gli esseri umani elaborano, fissano e comunicano il pensiero.
Le lingue verbali umane hanno una proprietà forte: sono semanticamente onnipotenti, nel senso che possono dare espressione a qualunque contenuto, cosa che non succede ai linguaggi non verbali umani (la lingua dei gesti ad esempio) o ai linguaggi non umani. Tra l’altro, la lingua verbale umana è la sola che può parlare di se stessa: quella che comunemente chiamiamo grammatica non è altro che la lingua che parla di se stessa. A nessun altra lingua o linguaggio tale facoltà è data.

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